Il termine "educazione emotiva" si riferisce ad una serie di tecniche utili per educare i bambini (ma anche gli adulti spesso hanno bisogno di una rieducazione) a trasformare le proprie emozioni, imparando a usare in modo costruttivo la propria capacità di pensare in modo razionale (Di Pietro, 1999). Tali metodologie non vanno applicate solo con bambini che hanno particolari difficoltà emotive, ma sono utili a tutti i bambini. Di seguito parleremo di una metodologia molto interessante, la cosiddetta "oasi" o "ascolto pulito". Si tratta di un modo "pulito", ovvero non contaminato da altro, di ascoltare, un gioco da fare il più spesso possibile con il proprio bambino e per il quale servono circa 10-15 minuti. Si invita il figlio a trasferirsi nella sua cameretta dove non si verrà disturbati dal telefono, dal computer o dagli altri. Poi si propone il gioco chiedendo: "Dimmi tre cose belle e tre cose brutte che ti sono successe oggi". Se il bambino ha difficoltà a cominciare, il genitore può fare un esempio tratto dalla sua giornata. In questo modo, il genitore funge da modello che prova e affronta emozioni positive e negative. Questa tecnica consente al bambino di esprimere ciò che lo rende felice o infelice. Le prime "tre cose belle" hanno l'obiettivo di insegnarli a prestare attenzione al fatto che anche nelle giornate peggiori accade comunque qualcosa di positivo. Le "tre cose brutte" hanno lo scopo di far esprimere al bambino delle emozioni negative e di fargli capire che anche le emozioni che fanno male possono essere accettate e soprattutto condivise con gli altri. Durante l'ascolto, l'adulto dovrebbe evitare di intervenire fornendo al bambino una soluzione preconfezionata e anche di dare giudizi sul suo modo di agire. L'oasi è infatti una modalità empatica di entrare in relazione e il bambino dovrebbe sentirsi libero di esrpimersi e non giudicato o rimproverato. Fonte: Fabio R.A. (2003). Genitori positivi, figli forti. Come trasformare l'amore in educazione efficace. Edizioni Erickson. Quando i genitori o gli insegnanti hanno il sospetto che un bambino abbia delle difficoltà di apprendimento, è importante che richiedano una valutazione clinica approfondita.
Una delle domande più comuni è a quale età dovrebbe essere effettuata. Secondo alcuni operatori, eseguirla quando il bambino è molto piccolo potrebbe essere controproducente, per il rischio di un inquadramento diagnostico prematuro. Tuttavia, bisogna considerare i vantaggi di un'identificazione precoce delle difficoltà del bambino, che di solito sono superiori rispetto agli svantaggi. Le ricerche nel campo della dislessia e della sua identificazione precoce (Crombie et al., 2004) mostrano che una valutazione è tanto più vantaggiosa quanto prima viene effettuata. Secondo le linee guida, la diagnosi di disturbo dell'apprendimento può essere fatta a partire dal secondo anno di scuola primaria. Tuttavia, se nel primo anno il bambino non compie i progressi attesi, potrebbe essere utile una valutazione completa per evidenziare eventuali difficoltà di apprendimento e per intervenire tempestivamente su di esse. Sono diverse le figure professionali che si occupano della valutazione dei diversi aspetti del bambino, in particolare:
Il bambino viene esaminato individualmente secondo un protocollo che si articola in una parte anamnestica (storia familiare e personale) e in una parte dedicata alla valutazione, sia mediante test standardizzati, sia attraverso l'osservazione. La valutazione generalmente indaga diverse aree di competenza. In particolare, dovrebbe le aree di seguito riportate e se necessario, altri aspetti. In particolare:
Alla fine della valutazione, lo specialista potrà fare una diagnosi, suggerire un trattamento e fornire indicazioni ai genitori e alla scuola. Fonte: Dislessia e altri DSA a scuola. Strategie efficaci per gli insegnanti (2013). Edizioni Erickson. Lo potete trovare (modificato) anche su: http://www.psicologionline.net |
Dott.ssa Maria Rosaria TamborrinoPsicologa e psicoterapeuta Archivio
January 2022
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