La dislessia evolutiva costituisce l'entità clinica più rappresentativa della categoria dei disturbi specifici dell'apprendimento (DSA). Con tale termine si intende una difficoltà nella lettura non dovuta ad altri fattori, come cattiva istruzione, deficit sensoriali o ritardo mentale.
La principale caratteristica della dislessia è la specifica difficoltà nell’apprendere e automatizzare la capacità di decodifica. Il disturbo è relativo quindi alla lettura strumentale e si manifesta come una difficoltà a carico della velocità e della correttezza della lettura. Tale problema si manifesta tipicamente fin dall’inizio della scuola primaria e può persistere lungo tutto il percorso scolastico e anche in età adulta. La dislessia è spesso associata ad altri quadri patologici, come difficoltà ortografiche (disortografia), nel calcolo (discalculia), o anche altri disturbi quali il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD), problemi comportamentali e di umore. La procedura diagnostica deve essere quindi indirizzata prima di tutto alla definizione del disturbo e successivamente alla definizione del progetto riabilitativo. In particolare, per quanto riguarda il trattamento della dislessia e più in generale dei DSA, non esiste un unico trattamento che possa essere considerato elettivo. Sono dei disturbi complessi, che tendono ad associarsi tra loro e anche con altri disturbi. Pertanto, è necessario prevedere una presa in carico complessiva, in cui i diversi tipi di intervento devono essere messi in atto nelle diversi fasi evolutive, in relazione alle particolari caratteristiche del disturbo. Inoltre, particolarmente importante è la scelta degli strumenti compensativi e dispensativi (previsti dalla legge 170/2010), in base al profilo personale di apprendimento e alle oggettive difficoltà del bambino. Lo trovi anche su: http://www.igeacps.it/ Con il termine “disgrafia” si fa riferimento ad una difficoltà specifica a carico dell’aspetto grafico e motorio della scrittura, che risulta disordinata, illegibile o caratterizzata da troppa lentezza.
Le caratteristiche comunemente riscontrate nei bambini con disgrafia sono:
La disgrafia vera e propria riguarda quindi in primo luogo il grafismo. La scrittura spesso risulta incomprensibile al bambino stesso, il quale non può quindi neanche individuare e correggere eventuali errori ortografici. Numerosi studi indicano una correlazione positiva tra velocità di scrittura e leggibilità: il bambino che scrive rapidamente è anche quello che scrive in modo più leggibile. Questo non significa che la scrittura veloce è anche quella più chiara, ma suggerisce che le capacità di scrivere velocemente e in maniera leggibile sono legate a fattori comuni, in particolare a una migliore capacità di coordinazione dei movimenti e un’adeguata rappresentazione ortografica. La disgrafia è spesso associata a un disturbo visuo-spaziale o a un problema di coordinazione motoria. Pertanto, la valutazione dovrebbe includere oltre alle prove che riguardano specificatamente la scrittura, anche prove che valutano le abilità visuo-spaziali. Riferimenti bibliografici: Cornoldi C., Zaccaria S. (2011). In classe ho un bambino che...". Giunti Scuola Srl. Lo trovi anche su: http://www.igeacps.it/ Grazie a una nuova metodica chiamata Brain-Wide Association Analysis (BWAS), i ricercatori dell'Università di Warwick (Regno Unito) hanno isolato le differenze funzionali tra i cervelli di soggetti con e senza autismo.
“Nel modello di cervello autistico si è evidenziata una riduzione della connettività tra la corteccia visiva del lobo temporale, coinvolta nell'elaborazione dell'espressione facciale, e la corteccia prefrontale ventromediale, implicata nelle emozioni e nella comunicazione sociale”, ha spiegato l'autore della ricerca Feng. “Si tratta di un collegamento molto importante per la regolazione del comportamento sociale e nei soggetti autistici non ha una piena funzionalità”. Una seconda differenza è stata riscontrata nella connettività di una parte del lobo parietale che si occupa delle funzioni spaziali. Gli autori sostengono che, complessivamente, i due risultati documentano un'alterazione delle basi neurali che sottostanno al rapporto tra se e l'ambiente e alla cosiddetta teoria della mente, ovvero la capacità di formarsi una rappresentazione de pensiero degli altri. Gli studiosi ritengono che la metodologia usata potrebbe essere applicata anche all'identificazione delle aree cerebrali coinvolte in altri disturbi come il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), il disturbo ossessivo compulsivo o la schizofrenia. Fonte: www.lescienze.it |
Dott.ssa Maria Rosaria TamborrinoPsicologa e psicoterapeuta Archivio
Marzo 2023
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